Le traduzioni in cucina
Il fascino della cucina si sposa con il lavoro del traduttore, non senza insidie però.
Capita che talvolta gli ingredienti di una ricetta siano introvabili nel paese di destinazione della traduzione, pertanto il dilemma che si pone è: si lascia inalterato il nome, magari proponendo una traduzione tra parentesi o si procede alla localizzazione dello stesso facendo attenzione a non alterare la ricetta stessa?
Uno degli ostacoli più frequenti è la localizzazione delle quantità partendo dai testi di origine anglosassone poiché le quantità vengono espresse in volume (tazze, cucchiai e cucchiaini) mentre da noi in peso. In questi casi è necessario fare uso di tabelle di conversione verificandone, prima, la provenienza dal momento che le misure di tazze e cucchiai presentano delle variazioni dal Regno Unito, all’America o all’Australia.
Nota dolente è poi la traduzione di “panna” e di “zucchero”. In inglese esistono diverse tipologie di panna in base alla percentuale di grasso contenuta così come esistono diverse tipologie di zucchero la cui corretta traduzione dipende non tanto da scelte letterali quanto piuttosto dal risultato della ricetta.
Per quanto riguarda i vini invece la regola generale è quella di non tradurre e non localizzare i nomi in quanto trattasi di prodotti tipici profondamente legati al contesto d’origine e alle sue specifiche peculiarità. Lo stesso approccio riguarda qualsiasi prodotto tipico fortemente connotato a livello culturale.
Tradurre in ambito enogastronomico quindi risulta estremamente coinvolgente ma anche particolarmente insidioso. Una traduzione errata, oltre a compromettere il risultato delle ricette e a banalizzare le diversità culturali, può andare a colpire anche la sensibilità di popoli dagli usi anche diametralmente opposti.
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