Traduttori e libri stranieri
È di pochi giorni fa l’articolo di Repubblica in merito alle condizioni estremamente disagiate con le quali lavorano i traduttori editoriali, sottoproletari ai tempi della fast-editoria, che nel mercato del libro italiano, in affanno, per non dire “in panne”, si vedono costretti ad accettare compensi che scendono fino ai quattro euro a cartella. “Eppure i libri tradotti costituiscono una buona fetta del mercato editoriale: il 35,8 per cento dei circa 60mila titoli stampati ogni anno. Ma soprattutto, in un paese che non legge testi in lingua originale, sono quelli più venduti: nella classifica dei primi dieci bestseller del 2012, sei battono bandiera straniera (James con la sua trilogia e poi Follett, Bratley e il dietologo Dukan). “soprattutto, in un paese che non legge testi in lingua originale, sono quelli più venduti: nella classifica dei primi dieci bestseller del 2012, sei battono bandiera straniera (James con la sua trilogia e poi Follett, Bratley e il dietologo Dukan)”
Un viaggio nella giungla della vita agra dei traduttori editoriali è quello che vi proponiamo riportando l’articolo del Post.it con il rimando al sito Diritti Globali:
LA VITA DEI TRADUTTORI
Repubblica racconta i problemi di quelli che “scrivono” i libri stranieri per noi, con pochi riconoscimenti, pochi soldi (e risultati alterni)
Capita spesso che di fronte a errori palesi o espressioni poco credibili, il lettore di un libro straniero tradotto in italiano mugugni contro la traduzione. Capita ancora più spesso che di fronte a un bel libro straniero tradotto in italiano, il lettore dimentichi che è una traduzione, e qualcuno l’ha fatta bene. I traduttori sono i coautori dei libri stranieri così come li conosciamo, ma vivono condizioni professionali molto insoddisfacenti economicamente e poco gratificanti. Ne scrive su Repubblica Dario Pappalardo, nelle pagine della Cultura.
«E poi bisogna lavorare tutti i giorni, tante cartelle per questo e quello e quell’altro, fino a far pari, anche la domenica. Se ti ammali non hai mutua, paghi medico e medicina lira su lira, e per di più non sei in grado di produrre, e ti trovi doppiamente sotto». La vita del traduttore italiano è ancora così. Come la descriveva Luciano Bianciardi nel 1962: “agra”.
La sua resta una professione fantasma che non è inquadrata in un sistema di garanzie contrattuali e previdenziali. Eppure i libri tradotti costituiscono una buona fetta del mercato editoriale: il 35,8 per cento dei circa 60mila titoli stampati ogni anno. Ma soprattutto, in un paese che non legge testi in lingua originale, sono quelli più venduti: nella classifica dei primi dieci bestseller del 2012, sei battono bandiera straniera (James con la sua trilogia e poi Follett, Bratley e il dietologo Dukan).
L’ultima indagine europea del Ceatl (Consiglio europeo delle associazioni dei traduttori letterari) assegna all’Italia la maglia nera nella tutela dei suoi traduttori. Poco importa che sia la stessa nazione di Pavese, Pivano, Fruttero. Se un contratto nazionale rimane ancora un miraggio — i compensi sono stabiliti dalla trattativa privata con l’editore — la remunerazione minima degli italiani è superiore solo a quella dei colleghi di Croazia, Lituania, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia. Un traduttore letterario guadagna in media 13 euro lordi a cartella (2.000 caratteri inclusi gli spazi). Decisamente meno di francesi e tedeschi (18-22 euro), svizzeri (35) e britannici (40).
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